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Il CASTELLO NELL'ARTE  

Il primo fu tra il 1318-19-20 quando i veronesi spostarono il loro confine a Nord aggregando alla loro giurisdizione Ossenigo e Belluno, che erano compresi nell'investitura trentina di Guglielmo del 1307. Lui vivente la Signoria veronese non operò, ma è probabile che subito dopo la sua scomparsa questa rettifica fosse portata a termine. In quest'occasione però i Castel Barco rimasero soccombenti e di solito non si esaltano le sconfitte. L'altro episodio certo avvenne tra il 1350-51 quando i veronesi tentarono di aggregare a Belluno Mama d'Avio e vi fu un vero scontro con la distruzione delle poche abitazioni poste sulla via trentina in questa frazione. Stavolta i Castel Barco si imposero ed i confini furono difesi validamente. Perciò anche se le armi sono attribuibili ai primi decenni del trecento forse da noi erano ancora in uso nel 1350, quando governavano il castello i fratelli Alberto ed Aldrighetto fu Guglielmo; anche l'inscrizione ancora leggibile di MAMA, che .per noi locali ha valore geografico, ci può rinviare a queste controversie. Altri affreschi si riferiscono ad esercizi di lotta che dovevano essere il pane quotidiano dei commilitoni e dei loro comandanti, e forse a qualche duello, di cui l'artista premeva esaltare il vincitore. Significativo è l'affresco di S. Giorgio, protettore della cavalle- ria e dei cavalieri lungo tutto il Medio Evo, esaltazione del valore umano contro il drago, della lotta del cavaliere di Cristo contro il maligno. Nel loro complesso gli affreschi della casa del capitano voglio- no celebrare una piccola Signoria, fiera della sua potenza locale e della sua residenza principesca, in grado di farsi rispettare dai potenti vicini di Verona e dai suoi alleati in valle. Se posso azzardare una ipotesi, di cui non ci sono però documenti, mi riferirei per ciò che concerne le armi avversarie alla famiglia Del Verme, Signori della Valle di Caprino e della montagna dell' Artillone, che erano legati agli Scaligeri tanto che i loro discendenti preferirono restare lombar- di e farsi espropriare di Caprino, piuttosto che farsi veneti.

 

Interno casa delle guardie. Affresco con decorazione a losanga. Ognuna 

conteneva una diversa lettera dell'alfabeto

Descrizione delle armi medioevali

1) Elmo (cdata) .
2) Goletta o gorgiera (collo/nuca) 3) Corazza (petto e dorsale)
4) Panciera con falda guardareni
5) Fiancali
6) Cinturone
7) Guardagoletta (spalla)
8) Bracciale con cubitiera e manopola 9) Cosciali con sopra maglia
10) Schinieri (gamba) con ginocchiere 11) Scarpe

Interno della casa delle guardie. Parete ovest. Particolare della scena del combattimento. Sulle frange sono leggibili le lettere M A M A... ripetute.

La stanza dell'amore nella torre. Di certo sulla sommità di una torre una stanza d'amore non è reperibile in tutti i castelli! Di solito vi troviamo stanze d'armi, anche perchè era in fondo la stanza dell'ultima resistenza in caso di assedio, ed una stanza sen- timentalmente romantica non crea di certo le migliori predisposizioni al combattimento. Ma si vede che qualche CastelBarco abitava con la sua bella anche sull' alto della torre, da cui si domina con lo sguardo tutta la valle, dalle pendici meridionali dello Zugna fino alla Chiusa di Verona, un panorama che lascia molto spazio anche ai sogni. Tutti i critici d'arte attribuiscono questi affreschi alla fine del 1300 in piena influenza toscana, e poichè il Signore del Castello era in quel momento Azone Francesco, forse la commissione di quest' opera si deve proprio a lui. Probabilmente aveva avuto un amore contrastato, perchè dal suo testamento apprendiamo che oltre al figlio legittimo Ettore, natogli dalla moglie Agnese d'Arco,


       Interno del mastio. Grifone a cavallo (forse simbolisn'1o dell'amore).

aveva avuto anche una figlia naturale Tommasina, che egli provvide regolarmente a dotare, e che perciò deve essere cresciuta vicino a lui. Forse vi era allora una Signora ufficiale nel palazzo baronale ed una ufficiosa nella torre, alla quale il bell' Azone aveva dedicato que­sta ancora bellissima stanza. Quello che è rimasto ci racconta una storia d'amore, di un cavalier che parte e della dama che lo saluta, e dell'amore, mitica figura di cavaliere alato con gli artigli, che imprigiona i cuori. Questi 'affreschi sono stati attribuiti alla stessa mano, od alla stessa scuola, dell' autore del ciclo di S. Giuliano nel Duomo di Trento, e di altri affreschi che una volta si trovavano nel castello di Trescore, nel bergamasco, opere ambedue attribuibili a Monte di Bologna, di cui però poco si sa e si conosce. Certamente alla fine del 300 la cultura e l'arte toscana stavano conquistando tutta l'Italia settentrionale e l'Europa, e la loro fama era diffusa certamente anche dai Romei, che per recarsi in pellegri­naggio a Roma passavano per la Toscana e l'Umbria ammirandone le bellezze e 1'arte, che celebravano ritornando in tutte le dimore ove trovavano in genere ospitalità sincera.

La pittura religiosa

Meno attenzione è stata dedicata dai critici alle testimonianze costituite dagli affreschi ormai sbiaditi della vec­chia cappella di S. Michele e delle stanze del palazzo baronale. Cer­tamente la pittura religiosa è diffusa ovunque e molto meglio conser­vata della nostra. Quello che mi preme sottolineare è il fatto che la cappella era affrescata con la via crucis, la storia della Redenzione umana, per cui tutte le pareti raccontavano di Gesù. Anche il crocefisso che ancora scorgiamo in alto sui ruderi ci parla della pietà religiosa dei Signori del castello che pur con tutti i loro difetti, resi più pesanti dalla loro potenza familiare e personale, erano in fondo dei cristiani, che ave­vano portato a S. Antonio l'ordine dei Benedettini, benemeriti per la cultura e per 1'agricoltura (ed infatti attorno alla loro chiesetta c'erano anticamente gli ulivi, che ancora crescono), e che erano i Pa­troni civili oltre che delle Pievi di Avio e di Brentonico con le cappelle dipendenti, anche dei Monasteri di S. Margherita e di S. Leo- nardo, quest'ultimo affidato alle cure dell'Ordine dei Crociferi di Padova. Il castello con i suoi merli a due punte ci parla di famiglia ghi- bellina, cioè imperiale. Dobbiamo però ricordare che ghibellini, cioè imperiali, furono sempre anche i Vescovi di Trento, da cui i Castel Barco ricevevano le investiture e perciò ghibellini dovevano essere, e che ghibellino fu anche Dante, loro ospite. Ciò non impedì loro una visione religiosa della vita che chiese ed arte ci hanno tramandato e di cui andiamo fieri

Antica cappella di S. Michele. Resti degli antichi affreschi. Particolare della via Crucis.

La crocefissione. Interessante la volta azzurra stellata, nel muro di fronte.
Resti dell'antica cappella dedicata a S. Michele.


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